in AZZAIP: aperitivo filosofico su identità culturale

In uno spazio aperto come una piazza è difficile chiudere i discorsi e quindi l'incontro di oggi 24 novembre 2019 in AZZAIP (piazza letto al contrario)
Azzaip
 è rimasto aperto, come è giusto che rimanga qualunque discorso filosofico, aperto all'innvoazione, al cambiamento all'adattamento storico e relazionale.

Come aperta rimane la nostra identità del resto, che la Filosofia adora indagare, forse è il tema più indagato da questa grande Signora Sapiente ed Amorevole.
L'identità si modifica e si modella nel tempo, nello spazio e nelle relazioni.
Va da sé quindi che qui non disserto sul concetto di identità ma ci tengo a lasciar traccia di alcune dinamiche emerse e di alcuni concetti che mi piacerebbe affrontare in maniera più puntuale, chissà quando, chissà dove?

Proceduralmente per la prima volta (ma sospetto che non sarà l'ultima) ho iniziato una pratica filosofica con un gruppo di persone e l'ho proseguita con un altro. So che qualcuno avrebbe da ridire, ma la libertà della sperimentazione è concessa in nome dell'innovazione 😎.
Io e Giacomo abbiamo messo l'appuntamento sui social, ho invitato chi ha partecipato al primo incontro del 17 ottobre, ma nessuno si è presentato. Il pensiero non si può fermare per delle defezioni, no? La battaglia la prosegue chi ha energie ...



Sono giorni di pioggia continua, freddo, umido, buio...ma io e Ariam Tekle ci siamo trovate al Chiosco Casa di Giacomo. Abbiamo aspettato che qualcuno venisse.
E la pratica è partita grazie all'arrivo di quattro fantastiche donne che volevano rifocillarsi dopo aver passato la loro domenica mattina a  pulire un quartiere che non era il loro. Già, loro come gesto volontaristico puliscono le strade, le puliscono una volta al mese perché qualcuno, al contrario,  non si preoccupa del decoro urbano, anzi lo degrada, perchè non ritengono lo spazio pubblico uno spazio di ciascuno. Loro invece ci tengono e agiscono (VITA ACTIVA)  e giustamente alla fine per premiarsi si sono fermate al chiosco e hanno ordinato 4 spumantini.
Erano le 12,15. orario perfetto.
Si sono sedute e hanno visto la nostra mappa concettuale, dei post it e delle matite sui tavolini e con un sorriso abbiamo chiesto loro se volevano giocare con noi a fare le filosofe per caso.
Donne curiose e pronte a mettersi in gioco. Siamo partite. Sessione al femminile.

Si sono agganciate al tabellone iniziato la volta scorsa e tra un sorso di spumantino e di vin brulé abbiamo cominciato a giocare. Certo non è facile persuadere quattro amiche a rispettare il turno di parola circolare, a scrivere i propri pensieri per non dimenticarli, a trattenere le loro emozioni, ma si sono impegnate e alla fine hanno apprezzato il valore aggiunto di parlare in una maniera diversa da come avrebbero chiacchierato se non ci fossimo state noi a proporre una pratica filosofica. Enzi l'entusiasmo di giocare è stato introdotto proprio da questa constatazione  di una di loro "bello, così non parliamo sempre delle stesse cose".


E' scontato immaginare che in un chiosco si vada a bere un caffè, una birra o mangiare un toast al volo. E invece no. Ad un chiosco ci si può anche fermare ad interrogarsi un po' su temi che ci riguardano in un modo o in un altro.

Ecco cosa è germogliato, dunque, da questi due incontri (totale tempo 3 ore circa).
Ariam ha proposto il suo punto di vista di italiana indignita dal silenzio istituzionale nell'integrazione dell'altro, era difficile per lei mantenere un punto di vista freddo e distaccato. Lei rappresentava l'urlo silenzioso di tutti coloro che desidererebbero un mondo solidale e buono, dove le istituzioni per prime danno esempi di solidarietà e correttezza.
I suoi interventi vengono accolti e riconosciuti e il dibattito prende il via da domande:
  • chi o che cosa definisce l'identità di ogni essere umano?
  •  come ti senti la sera dopo che hai tolto la maschera?
  • in quale lingua pensano i ragazzi (di seconda/terza generazione)?
  • come l'identità è influenzata da usi e costumi del luogo ospitante?
  • come si riuniscono le parti di sé (implicitamente intendendo che l'identità è un insieme di molteplici personaggi interiori)?
Sia il primo che il secondo gruppo sono partiti dal tema della maschera. Si parla di "maschere sociali" che vengono messe per essere accolti. Ma questa maschera non è solo dello straniero. Anche una ragazza timida,  fa presente una partecipante che rimugina nella sua memoria giovanile,  in una cittadina piccola dove tutti si conoscono, si mette una maschera sociale, come? bevendo un po' di vino e nascondendo quindi la propria timidezza e la propria sensazione di inadeguatezza sociale dietro gli effluvi allegri dell'alcool.
La maschera la mettono tutti, sostiene un'altra: tutti vogliono essere accolti. Il compiacimento è umano.

Si ricordano alcuni partecipanti (del primo e secondo incontro) di quando a Milano negli anni '60 c'erano dei negozi sulle cui vetrine mettevano messaggi "qui non entrano cani e terroni".
L'essere umano non impara dalla Storia: solo trent'anni prima i messaggi dicevano "qui gli ebrei non possono entrare" ( questo lo scrivo ora io, con un certo disgusto per questo nostro diabolico ricorso storico).
"Oggi queste discriminazioni spopolano sui social". Una partecipante introduce questo tema agganciandosi proprio all'idea che dietro lo schermo, come dietro ad una maschera,  ci si spinge a comportamenti più emotivi, meno ponderati, molto poco pensati.    Ci  si spinge a dare voce ad altre parti di sé, a quelle più estreme, apparentemente più libere, in realtà solo più maleducate, irriverenti, unpolite.
Ecco che interviene chi dice che il riconoscimento identitario nel rispetto delle singole diversità è un tema pedagogico che dovrebbe essere focus delle scuole, che però non hanno strumenti finanziari per pensare programmi formativi in grado di integrare veramente chi viene da altro luogo, uomini, donne e bambini comuni che vengono qui in cerca di pace, cibo e dignità umana, scappando tristemente dai loro paesi devastati da guerre, fame e  povertà. Per esempio, interviene una signora, le insegnanti dovrebbero sapere l'arabo (cinese…) o essere italo-arabe, affinché lo studente possa sentirsi a suo agio e non frustrato dall'ambiente scolastico, che a parole  vuole inclusività, ma che nei fatti fa tanta fatica.

Ariam nei suoi interventi insiste nel far presente che il pregiudizio negativo nei confronti dei neri è ancora molto forte qui in Italia. In America sei un numero, libero e non considerato, qui troppo spesso vieni etichettato quale pericoloso spacciatore, ladro e delinquente solo perché hai la pelle scura. I partecipanti tendono a voler quasi consolarla: questione di ignoranza, qualcuno sostiene. Non proprio di ignoranza, interviene qualcun altro: forse c'è una chiara strategia politica di comunicazione massmediatica che racconta di un mondo fatto di violenza, malavita e malaffare per generare odio, scontro sociale, conflitto tra persone di culture diverse. Può essere. Ma se stiamo al nostro più ristretto campo di esperienza è innegabile che ci siano dei comportamenti culturali che si fatica a tollerare e che sono tipici di una popolazione. Lo racconta una partecipante sposata con un peruviano,  per anni ha cercato di persuadere suo marito ad evitare di lasciare con i suoi amici compatrioti le bottiglie di birra vuote in giro per la città dopo aver bevuto, ma lui ha sempre risposto che per loro è normale così e non si vogliono adeguare. Come fa allora il cittadino comune, anche il più tollerante a non infastidirsi davanti ad atteggiamenti di questo genere. non sono forse queste delle piccole miccie di intolleranza?
Cosa c'entra questo con l'identità culturale? c'entra, perché gli amici peruviani, nei loro convitti costituiscono il loro "essere comunità culturale" e l'essere è connesso con l'identità. "Io sono" nel riconoscimento che l'altro mi riconosce.

Non è stato trattato il tema dello ius soli. Peccato. D'altra parte l'onda riflessiva del gruppo va rispettata.
Un'idea però è emersa e spero di poterla realizzare: fare una bacheca in cui scrivere le best practices di varie culture per poi trovare occasione di confronto.
Tutti si conveniva, in conclusione, che è fondamentale anche un sano ottimismo per non farsi schiacciare da questa onda di fango che già quotidianamente ci invade dai canali di informazione.
Incoraggiamo e raccontiamo le belle storie e il sistema dai piccoli ingranaggi un po' cambia. Per forza e con gentilezza.

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