La Pratica sul Dubbio: un fantasioso patchwork!
La Pratica sul Dubbio è un patchwork, una raccolta di alcune parti delle più
conosciute pratiche filosofiche[1] integrate ad altre tecniche
di facilitazione comunicativa.
Tra i primi obiettivi
della Pratica sul Dubbio c’è quello di stare nel processo riflessivo e imparare
a creare confidenza e sentimento di reciprocità tra persone che non si
conoscono, dando valore alla parola-pensiero come logos, cioè elemento che lega due o più esistenze nella ricerca di
ben-essere; un altro obiettivo è imparare a strutturare un confidente problem setting, in grado di agevolare le successive
azioni decisionali per chi sente di dover fare un salto e non ha gli strumenti per
costruire un ponte verso il cambiamento.
Andiamo con ordine e
vediamo di cosa si compone la cassetta degli attrezzi della Pratica sul Dubbio.
Come il Dialogo
Socratico e il Dilemma Training, anche la Pratica sul Dubbio necessita di
spazio temporale, per cui generalmente il gruppo, composto da 5-10 persone può avere a disposizione fino a 8 ore
di libertà riflessiva e dialogica. Le regole del gioco sono quelle di tutte
le Pratiche Filosofiche:
ü rispetto dei tempi di intervento
(circa 3 minuti a testa);
ü non sovrapposizione di parola;
ü sono interrotti i commenti
irrispettosi;
ü si sosta nel silenzio e nell’ascolto
attivo dell’altro;
ü se sorgono momenti di forte emozione,
si accolgono;
ü ciò che dice il facilitatore ha un
ruolo direttivo importante e deve essere rispettato.
La Pratica sul Dubbio nella versione più strutturata può incominciare,
come per il Dilemma Training, almeno una settimana prima del giorno di ritrovo
effettivo. Il consulente filosofico infatti chiederà ai partecipanti di
descrivere in qualche riga il dubbio aperto che ha. Questo per tre ragioni:
- La stesura del testo permette al partecipante di chiarirsi un po’ le idee circa il problema. La scrittura permette una maggior presa di distanza emotiva dal problema, cominciando a “spacchettare la molecola del dubbio” in proposizioni linguistiche più semplici.
- La lettura dei casi permette al facilitatore di conoscere anticipatamente le problematiche, potendo valutare quali escludere per consapevole incapacità di gestire emotivamente o deontologicamente le dinamiche che potrebbero generarsi. In situazione di ambiguità il facilitatore potrà telefonicamente chiedere maggiori delucidazioni.
- La conoscenza anticipata dei casi, infine, permette al consulente filosofico di prepararsi con testi e spunti di riflessioni.
Giunti al giorno della
pratica effettiva la prima mezz’ora è propedeutica alla creazione dell’ambiente
filosofico, introducendo le “regole del gioco”.
Successivamente, come
nel Dialogo Socratico, le persone sono disposte in cerchio, a turno si presentano e raccontano il loro
caso. Non si può partecipare se non si ha un dubbio da condividere. Tutti
devono “svelare un’ ombra”. Vige il principio di uguaglianza.
Segue quindi la
scelta del dubbio da analizzare. Seguendo il ritmo circolare il primo che ha
cominciato a raccontare il proprio dubbio esprimerà le proprie argomentazioni a
favore del dubbio che vorrebbe trattare. E così tutti gli altri. Scrive un
partecipante:
“Le regole (circolarità della parola e il massimo di tempo di intervento)
fanno in modo che non ci si disperda e che non si sfoci nel divagare, anche le
regole possono sembrare molto limitanti, ma in realtà aiutano tutti e danno
anche una certa ritmicità alla pratica.”
I giri per la scelta del caso potrebbero
essere più di due. Ma è importante che ci sia unanimità o per lo meno
buona disponibilità di tutti nella decisione finale del caso da trattare. Sta
all’osservazione del facilitatore osservare il campo e percepire gli umori dei
partecipanti.
Chi narra il caso scelto, deve riformulare in una frase il proprio dubbio e questa frase è leggibile da tutti su una lavagna a fogli mobili.
I partecipanti possono solo formulare domande sul caso scelto e non possono dare valutazioni. Chi narra il caso, alla fine di ogni giro interrogativo, è libero di scegliere a quali domande rispondere.
Il facilitatore traccerà sulla lavagna, seguendo una precisa scelta cromatica, i messaggi comunicativi del narratore per dare a tutti maggior chiarezza di come e cosa viene detto e comunicato.
Il gioco filosofico per struttura intrinseca non è detto che si possa concludere; solo colui che ha portato il caso può stabilire se è soddisfatto del supporto riflessivo del collegio o meno. Può, addirittura, scegliere di interrompere quando vuole, senza dare alcuna spiegazione. I partecipanti, rispettosi, accoglieranno la volontà.
Ovviamente non può mancare il classico giro di feedback che darà commiato.
[1] In Italia c’è un’ampia bibliografia sul tema
delle Pratiche Filosofiche, la collana
più ricca di testi per i professionisti del settore è quella curata da Umberto
Galimberti, edizioni Apogeo, ma diverse altre case editrici stanno permettendo
la divulgazione di questo “nuovo” modo di intendere la filosofia, una fra molte
Mimesis.
Commenti
Posta un commento
grazie per avermi scritto. ti risponderò al più presto.
ciao
Barbara