Le Pratiche Filosofiche nelle organizzazioni: una sfida per il futuro. L’esperienza italiana



Articolo in pubblicazione presso la rivista del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bucarest: 


Le Pratiche Filosofiche nelle organizzazioni: una sfida per il futuro. L’esperienza italiana




Questo articolo vuole essere un veloce sguardo per comprendere l’utilità delle Pratiche Filosofiche nelle organizzazioni, in contesto italiano, che è quello che mi appartiene per esperienza diretta. Esse possono essere proposte sotto due forme: consulenza o formazione d’aula. Ogni pratica ha obiettivi ben precisi[2], ma, tendenzialmente, si usano per rivedere Vision e Mission aziendali, per strutturare progetti di CSR[3], per la valorizzazione delle Risorse Umane o per migliorare la strategia aziendale o i processi organizzativi. Sotto la veste di progetti formativi innovativi, tali pratiche sono un ottimo strumento per lo sviluppo delle soft skill, soprattutto per migliorare le capacità comunicative e il team working.



Tutte le pratiche filosofiche si basano sul dialogo di gruppo, sviluppano l’intelligenza collettiva e la loro applicazione è presente in quelle organizzazioni che credono nel concetto di “learning organization”. Le pratiche filosofiche sono uno strumento importante per le aziende che riconoscono tra i loro valori quello della crescita del sistema azienda attraverso la crescita personale delle persone che la rappresentano. Dialogo socratico, comunità di ricerca, dilemma training, seguono procedure in grado di migliorare l’ascolto interiore (il socratico “conosci te stesso”) e il confronto interpersonale, facilitando tra i partecipanti la conoscenza più “intima”, familiare, stimolando tolleranza e rispetto.

Nel nord Europa, in Germania in Francia, negli Stati Uniti, in Canada, in Israele le pratiche filosofiche sono abbastanza richieste fin dagli anni ‘80 dello scorso secolo, mentre in Italia è dal 2000 circa che stanno nascendo le figure di consulenti filosofici, i tempi di ingresso nelle organizzazioni sono più lenti e, personalmente, a tale proposito, ne adduco alcune motivazioni che elenco di seguito.
1) La credenza popolare per cui la Filosofia  è difficile e inutile. Per quanto il nostro compito sia scientificamente fondato[4], la sfida a mio avviso più complessa è di trovare il modo per far comprendere la differenza sostanziale tra filosofia classicamente intesa (quella accademica) e la filosofia praticata. Con una semplificazione di senso comune, la prima costruisce le cornici di senso entro cui interpretare gli eventi del mondo, la seconda rimane agli eventi del mondo e si limita ad analizzarli, ad accoglierli, a descriverli in termini fenomenologici. E’ uno spazio/tempo per pensare entro il quale ricostruire e riordinare, approfondire e investigare, scomporre e ricomporre pensieri, sentimenti, valori, convinzioni, comportamenti. Nel mondo delle organizzazioni abbiamo, a mio avviso, a disposizione tonnellate di teorie per organizzare l’azienda perfetta. Ciò che ancora deficia è lo spazio vuoto entro cui contenere e riorganizzare il “disordine” umano, che si genera inevitabilmente quando si impongono delle regole astratte ai sistemi viventi.

2) Per quanto nessuno abbia il coraggio di negare il ruolo centrale delle risorse umane nelle imprese (sarebbe politically incorrect), è altrettanto vero che gli investimenti per la loro crescita sono sempre tenuti in scarsa considerazione dalla maggior parte degli head quarter imprenditoriali.  Per quanto sempre più aziende siano consapevoli del ruolo sociale che esse rivestono per il bene del nostro Pianeta, quotidianamente mi imbatto in recalcitranti responsabili Responsabili Risorse Umane e Amministratori Delegati, i quali credono che la crescita personale e il valore di una cultura aziendale attenta alla sostenibilità ambientale e sociale siano degli elementi di second’ordine rispetto al profitto e al bilancio economico. 

3) Infine, e questa è una mia personalissima supposizione,  la difficoltà maggiore che noi formatori aziendali troviamo nel far comprendere  la fondamentale importanza di una formazione al dialogo profondo (filosofico) e di una formazione costante alla coscienza sociale, dipende dal modello (anche mentale) del scientific management: precisione, rapidità, efficienza, pianificazione, organizzazione, coordinamento e controllo sono stati per un secolo parole e concreti punti di riferimento semantico per il funzionamento delle industrie. Industrie che hanno realmente fatto la ricchezza di milioni di persone, generando salute e benessere nelle nostre famiglie. Ora, per quanto vi sia collettiva coscienza del fatto che questo modello, dal punto di vista organizzativo e strategico,  non è più sufficiente a far vivere e crescere sistemi aziendali  che devono far fronte a dinamiche molto complesse, è altrettanto vero che le abitudini quotidiane sono molto più difficili da cambiare. La struttura economica italiana si basa sull’attività di piccole e medie imprese e devono resistere, come Davide contro Golia, alla forza delle multinazionali che monopolizzano il mercato soffocando creatività e impegno.  Il contesto quindi entro cui le nostre imprese vivono non è più quello di cinquant’anni fa’, ma  il cervello umano è quello ontogenetico che abbiamo da millenni, cioè magnificamente pigro, mentre, in compenso, i sistemi sociali si modificano. Il modello tayloristico ha permesso  di farci divenire tutti re e regine, sicchè è difficile scardinarne il modello mentale che ci sta dietro[5]. E’ una comprensibilissima resistenza al cambiamento del sistema, che non sente alcuna necessità di modificare la propria regale omeostasi! 

Illustri pensatori contemporanei dichiarano ormai da 20 anni che siamo di fronte ad un bivio epocale. Gli sguardi verticistici e settoriali tipici del modello industriale del XX secolo sono troppo miopi e non sono in grado di vedere il futuro, al contempo altrettanto presbiti rispetto alla comprensione delle dinamiche di libertà operativa e comunicativa, che i nuovi mezzi di comunicazione (internet) hanno messo in mano alle nuove generazioni. Ecco perché sono convinta dell’urgenza di divulgazione delle pratiche filosofiche, come di tutte le tecniche[6] che stimolano la riflessione sul linguaggio, inteso come gioco wittgenstainiano, che regola le dinamiche umane, nel bene e nel male.  
Le pratiche filosofiche però hanno a mio avviso un elemento che le distingue da tutte le altre metodologie di stimolazione della consapevolezza comunicativa: la qualifica “filosofica” appunto!
 Se filosofi sono coloro che si interrogano sul senso della vita, sul mistero della coscienza interiore, sulle regole che il mondo segue, la complessità del nostro sistema è tale che l’umanità intera dovrebbe essere coinvolta nel processo riflessivo filosofico, per cercare di capire dove alla velocità della luce stiamo andando: economia globalizzata in mano a poche multinazionali, aumento esponenziale della popolazione mondiale, pretesa (lecita) di emancipazione e boom economico dei paesi emergenti, povertà crescente nel vecchio continente, crisi di leadership della prima potenza mondiale del XX secolo, scarsità sempre maggiore di risorse ambientali, sfruttamento ambientale al limite del collasso[7]. Come possiamo comprendere i cambiamenti che si stanno evidenziando davanti ai nostri occhi se non confrontandoci, parlando con serietà e profondità, con il desiderio di capire e poter riprendere una direzione? C’è urgente bisogno di stimolare filosoficamente l’intelligenza collettiva direzionata in ogni sede possibile. Considerato che le aziende sono luoghi con responsabilità primaria nell’impatto sociale ed ambientale delle proprie attività, devono essere le prime ad essere coinvolte.
Senza la capacità di “guardare lontano”, di guardare dall’alto”, come ci insegnano magistralmente gli stoici, non possiamo pensare di comprendere verso dove andare: il baratro o un futuro sostenibile ed equo?
Personalmente sono un’inguaribile ottimista e sono certa che il Sistema Globale abbia già innescato delle retroazioni di bilanciamento[8] al catastrofico quadro sopra descritto. Bisogna però saperlo leggere e divulgare.
Un taoista potrebbe offrire un’interessante lettura di retroazione di bilanciamento: lo stile maschile (yang), che ha caratterizzato duemila di anni di storia, di cultura e di potere, cioè il razionalismo, l’individualismo,  il machismo guerriero, sta riducendo la sua forza di influenza nella “via” (sistema globale), lasciando spazio nel processo dialettico della storia, in termini epistemologici, strategici ed organizzativi, al suo omologo complementare femminile (yin) che si rispecchia nel valore dell’intelligenza collettiva, del dialogo, della solidarietà, della sensibilità alla vita, che accoglie, genera e rigenera.

Sarà forse il world wilde web il sistema virtuale che ci permetterà di ribilanciare il sistema reale? Siamo globalmente consapevoli dell’avvenuto salto dall’ “era industriale” all’ “era digitale”, siamo, collettivamente molto meno consapevoli di come, in questa era digitale, si modificheranno le regole sociali che fino ad oggi hanno regolato i giochi di potere (politici ed economici), ma, a pelle, mi sembra un sistema più yin che yang!

Ora credo che non ci dobbiamo dimenticare mai che, per quanto le nostri mani abbiano ormai delle protesi tecnologiche in grado di connetterci in un bit dall’altra parte del mondo, facendoci provare sensazioni sovraumane, c’è da mettere molto ordine nel selvaggio web, e per far questo c’è bisogno di fermarsi, di riscoprirci homo sapiens sapiens, sospendendo ogni tanto la parte tecnologica che è in noi. Spegnere i computer e pensare con calma, a lungo e senza fretta è ancora l’unico modo per stimolare il pensiero creativo e generare soluzioni adeguate ai tempi.  E’ lo spirito filosofico, da sempre nella storia, a progettare il futuro con alcuni ingredienti correlati: aria, condivisone, fiducia.[9] Ecco dunque un altro motivo per proporre le pratiche filosofiche nelle organizzazioni. Lo spirito filosofico non è più élitario, il livello di istruzione e di sviluppo cognitivo permette di proporre percorsi riflessivi all’interno dei sistemi aziendali, trasformando quelli che erano luoghi di produzione, in learning organization[10]. Insegnare a dialogare anche per ordinare la selvaggia rete comunicativa del mondo, che sta modificando il modo di vivere  dell’umanità intera. I sistemi devono bilanciarsi se vogliono sopravvivere, altrimenti collassano: oggi nell’era digitale che ha accelerato la connessione comunicativa interpersonale, vediamo esplodere come bolle di sapone rivoluzioni popolari, vediamo sprofondare stati, vediamo economie distrutte da debiti generati da errori e malati comportamenti privati; abbiamo l’obbligo di bilanciare il sistema rallentando il tempo “extraweb”, per poter pensare bene a quello che facciamo entrare in rete, perché dentro la giungla tutto può succedere!
Per concludere, le organizzazioni, oltre alla consapevolezza dell’importanza che ha la “salute” individuale per il mantenimento dello stato di salute dell’azienda stessa, oggi devono assumersi la responsabilità di impegnarsi per tutti gli stakeholders coinvolti, affrontando il rapidissimo cambiamento sistemico. Lo stile filosofico di affrontare il cambiamento in questo scenario diviene, a mio avviso, non solo importante, ma oserei sostenere indispensabile.

Uno dei più interessanti e recenti paradigmi per interpretare l'organizzazione consiste nel vederla come un sistema impegnato a produrre senso e significato (sensemaking). Le organizzazioni non sono solo apparati di produzione di merci o servizi, ma grandi sistemi che producono pensiero, quindi che pensano e soprattutto si pensano. Il processo di sensemaking determina la costruzione dell'identità di coloro che lavorano.
Karl E. Weik[11] analizza proprio il tema della creazione di senso nelle strutture organizzative. Secondo tale studioso, le persone non si limitano a percepire un ambiente; tramite ciò che questo autore definisce “enactment”, esse creano, riorganizzano e decostruiscono molti aspetti del contesto che li circonda. Di fatto, allora, per Weick non esistono neppure le organizzazioni, ma solo insiemi di donne e uomini che si incontrano e conversando producono un loro linguaggio.  Il sensemaking concerne dunque i modi in cui le persone generano quello che interpretano.[12] Parlare di sensemaking significa parlare della realtà come di una costruzione continua: “Intraprendere un processo di sensemaking significa costruire, incorniciare, creare la attualità, e trasformare il soggettivo in qualcosa di più tangibile; la realtà dell’organizzazione appare, in ogni caso, come una realizzazione continua, che si struttura tutte le volte che gli attori umani danno senso retrospettivamente alle situazioni in cui si trovano e alle loro creazioni”[13].
Ecco la sfida che noi consulenti filosofici abbiamo all’interno delle aziende: convincere i leader, che quotidianamente contattiamo, ad aver fiducia nella capacità umana di ridisegnare il proprio futuro, attraverso la condivisione reale, corporea ed emozionale del pensiero, attraverso percorsi strutturati di dialoghi in grado di dare una nuova casa alle generazioni future: parole nuove e condivise per un futuro migliore.

        





[2] Il dialogo socratico si utilizza per individuare una definizione condivisa di un concetto astratto (cfr. Dordoni P., Il dialogo socratico. Una sfida al pluralismo sostenibile. Apogeo Ed. 2009). Il dilemma training è utilizzato per investigare dilemmi etici quindi è molto utile applicarlo per strutturare codici etici e carte valoriali (cfr. http://www.appa.edu/dilemma2.htm). La comunità di ricerca invece è adeguata per migliorare la qualità della riflessione di gruppo, per rafforzare rispetto, ascolto e processo creativo del pensiero.( Cfr Cosentino A. -a cura di- Filosofia come pratica sociale, Apogeo, Milano, 2008.)

[3] CSR è l’acronimo di Corporate Social Responsability, che negli ultimi anni sta avendo un riconoscimento effettivo anche all’interno degli organigrammi aziendali, con l’inserimento del CSR manager. Con CSR “si intende l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.”(cfr. www.csrmanagernetwork.it)

[4] Per alcune linee teoretiche di approfondimento cfr. l. Wittgenstein, F. Varela  e H. Maturana, G. Bateson, che hanno studiato come il linguaggio non solo è heideggerianamente parlando “la casa che noi uomini abitiamo”. Il linguaggio, nei termini di processo comunicazionale interpersonale è il sistema entro cui il sistema “persona” ed il sistema sociale si modificano ontogeneticamente.  J. Dewey, M. Lippman, sono solo alcuni studiosi che  hanno proposto modelli in grado di facilitare il dialogo interpersonali; E. Goldratt D. Bhom, P. Senge in particolare li hanno studiati appositamente per il contesto di business.

[5] R. Dilts parla di modelli mentali per indicare le credenze, i pregiudizi, i sistemi valoriale che ci fanno leggere gli eventi del mondo. Cfr Modeling with NLP (1998)

[6] Cfr. di Peter Senge The V discipline; David Bohm  On Dialog; Eliyahu M. Goldratt  The theory of  constraints

[7] Cfr.  Ervin  Laszlo e Marco Roveda La felicità nel cambiamento.  (Lifegate e-book )

[8] Cfr. The Ssystem Thinking di J. O’Connors: ogni sistema subisce retroazioni di bilanciamento e di rafforzamento a seconda delle forze che in esse agiscono, consapevolmente o meno (semplice esempio di retroazione di bilanciamento del sistema vivente: sento la sete-bevo.) Più il sistema è complesso più è difficile vedere e descrivere  le retroazioni di rafforzamento e bilanciamento che si incastrano tra loro. Nei sistemi sociali le retroazioni sono di tipo relazionale e in particolare di tipo politico – cioè ineriscono i giochi di potere. I giochi di potere possono essere riequilibrati nel momento in cui vengono affrontati soprattutto dal punto di vista comunicativo. Cfr. The V discipline di Peter Senge e The Goal di Eliyahu M. Goldratt.

[9] Cfr. P. Senge, o. Scharmer, J. Jaworsky, B. Flowers Presence, Ed. italiana Franco Angeli 2013.

 [10] Cfr. P. Senge, The Fifth Discipline: the art and practice of the learning organization.

[11] Senso e Significato nell’organizzazione, Milano, Cortina 1997

[12] Ibidem, pg. 15

[13] Ibidem, pg. 125

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