Ascoltare uno sguardo...

Una delle osservazioni che capita di sentire circa le pratiche filosofiche è legata alla sua apparente vicinanza alle molteplici pratiche "psico-..." che sommergono il nostro mondo.
Senza escludere il benefico effetto psicologico che il dialogo apporta ai partecipanti di una pratica filosofica, è importante dire che la direzione verso cui vanno le pratiche filosofiche è esattamente inversa a quelle psico-...
Quando ci si riunisce per "fare filosofia" l'obiettivo non è quello di psicologizzare i partecipanti. Al contrario!

Per quanto vi sia tendenzialmente un "protagonista narrativo" (escludendo il caso dei cafè philo)  che in un certo senso fa da cardine al racconto e permette lo sviluppo del processo ragionativo, egli non è messo sotto i riflettori, come in un interrogatorio giudiziario. Prima di iniziare una sessione di pratica sottolineo sempre più volte il fatto che lo spirito con cui si deve affrontare l'avventura deve essere il più possibile vicina alla s-personalizzazione dell'esperienza. In qualche modo invito gli ospiti a vivere un'esperienza meta-fisica.


Scopo di vivere esperienze filosofiche è quello di giungere, insieme agli altri, all’universale senso che una storia comune assume in una contestualizzazione narrativa che fa dell’esperienza stessa un pretesto analitico spersonalizzato. In altre parole quello che io racconto potrebbe, a ben vedere, essere raccontato da qualcun altro, ma è mio, con tutto ciò che il pronome personale impone, vale a dire ovviamente l’insieme delle mie parti –emotive, valoriali, concettuali, argomentative, relazionali. Ciò che allora io apporto alla chiarificazione del concetto di trasparenza non parte da una buona preparazione formale sul tema, ma dalla mia concreta esperienza di vita che più di altre ha incarnato questo concetto. Quindi io sono certa che sto portando una verità ( e non La Verità, mi raccomando), che diviene una delle basi di riflessione, insieme alle altre esperienze concrete di vissuto del concetto di trasparenza, altre verità.

 La certezza di aver vissuto un’idea permette anche di avere una certa sicurezza nel saper  esprimere il concetto. Se lo so esprimere ne posso ragionare “con cognizione di causa”. Dalle singole narrazioni concrete, con un supporto cartaceo (lavagna e fogli per i singoli) posso lavorare analiticamente, in un progressivo percorso ragionativo, che porta la concretezza dell’esperienza ad un meta-livello sempre più generale ed universale.
Le pratiche filosofiche dunque,  in questa parziale conclusione espositiva, risultano essere un modo per tornare a ridefinire parole, a rinominare idee e significanti, saturi di significati e sensi forse troppo a-personali, non individualizzati, rafforzati di astrazioni teoretiche e valoriali e non incarnati in vissuti esperienziali condivisi.
Facendo affidamento su di un atteggiamento relazionale, che crea il precipuo mood filosofico della pratica stessa: io scelgo di voler apportare verità condivisibili, confutabili su base altrettanto esperienziale, ma altresì logico-argomentativa, boicottando il dialogo polemico-retorico in nome di una ricerca della verità condivisibile per il bene dell’idea stessa e non della persona che la esprime. In questo modo si esercita un’umiltà espositiva che fa del soggetto narrante un espediente per la ricerca della chiarificazione concettuale.

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