La catarsi degli armadi...VIA!

Il mio racconto autobiografico di pratica filosofica di oggi comincia così:
Sveglia sofferta, dopo che il piccolo boy questa notte mi ha chiamata due volte, ed io, di mio, ero già andata a letto all’una di notte (con pensieri sul mio futuro professionale).
Ore totali dormite: 4.
Mi sono svegliata già stanca. Ma la giornata comincia, per forza.

40 minuti per:
  •  preparare la colazione per tutti e 4. Anche mio marito ha deciso che il nuovo anno porta rinnovamento. Mai fatta colazione, ma l’età avanza e bisogna “regolarizzarsi”!

• Far mangiare i bambini, richiamando la loro attenzione almeno 20 volte.
"Mangiate bambini! Svelti! Non litigate…!"
• E intanto mangio io la mia colazione,
• mi lavo,
• mi vesto,
• prendo i vestiti dei bambini,
• li lavo,
• li vesto.
• Si fanno i letti
• e si corre a scuola.

Alle 8,30 sono già “libera”!


Dovrei ballare (è il mio buon proposito per l'anno nuovo), ma sono stanca. Soffro anche io di insonnia notturna, se qualcuno mi sveglia. E quel qualcuno sappiamo chi è…

• Vado in tintoria.
• Mi carico sulle spalle due pacchi di roba.

Arrivata a casa decido che devo affrontare il mostro nell'armadio!
E così comincia la mia elaborazione filosofico-pratica.
Sistemare gli armadi è un lavoro catartico. Per chi, come me, soffre la quantità. Io soffro la quantità. Sono arrivata a questa conclusione.
Il fatto è che viviamo in una società della “quantità”:
Abbiamo dalle 5 alle 15 paia di scarpe. Abbiamo 10 golf, 10 pantaloni, 5 gonne, camicie e magliette a iosa, tanto da Tezenis te le vendono a meno di 9 euro!
E la roba si accumula, si accumula, si accumula. BASTA! Io poi eredito vestiti da mia madre, mia suocera, la sorella di mia suocera. E non so dir di no, anche se magari poi non rispecchiano il mio stile. Ma è diventato anche mio il principio, ereditato dalla nonna, “non si butta via niente”, col risultato di avere, avere, avere roba, roba, roba. Risultato paradossale: alla fine non so più cosa mettermi la mattina. E magari sto con gli stessi pantaloni 3 giorni.

Perché in fondo non ho tanto tempo per pensare a come vestirmi.
E allora BASTA. 2 volte all’anno risistemo gli armadi. Ah dimenticavo questo lavoro lo faccio altre 4 volte per i miei figli, durante l’anno. Ore e ore davanti agli armadi!!

Ora, cosa fa la mia testa mentre ri-ordino? Una parte significativa dell’attenzione va nel rispondere alle domande: “Ma questo (capo) lo metto? Lo voglio mettere? Veramente?” Ora rispondere a questa domanda mi fa fare dei voli pindarici dentro gli oggetti e le storie, che questi hanno vissuto con me.

Oggi ho riempito un sacco, di quelli grandi, da boutique, rigidi in cartone, con vestiti che mi hanno fatto ricordare tante me. Ho dato via un tailleur giallo ocra in lanetta (di mia madre 15 anni fa), che mettevo spesso quando andavo nelle aziende clienti. Via! Non sono mai riuscita a chiudere la giacca. Oggi, dopo due figli…Via!
Via dei vestiti che a mio marito non piacciono, io li avrei messi comunque poco e preferisco fare spazio al cuore di mio marito!

Basta con golfoni giganti, come quando ero una timida adolescente intimorita del suo corpo formoso e mediterraneo. Via quei golf ereditati sempre da mia mamma, che mi facevano sentire al converso una catechista. VIA!! Ma via anche dei pantaloni in pelle, che ho sempre associato a donne “aggressive”, non fanno parte del mio stile.

Via le circa 5 magliette rovinate, il cotone di Tezenis dopo un po’ si lascia andare. Anche 4 golf di cashmere (stile suora, cashmere o non cashmere suora non sono!)

Libera!!!!! M sento libera. Più leggera. Finalmente i miei armadi possono ossigenare. E io mi sento bene.

Ho dedicato del tempo alla cura di un piccolo pezzo della casa. Quel pezzo che gli altri non vedono, almeno che tu non voglia farglielo vedere.

L’armadio è un luogo privato, come l'anima.
Una mia carissima amica romana, mi ricordo, al liceo, aveva degli armadi che io giudicavo “allucinanti” e giudicherei ancora tali se li vedessi ( e non mi meraviglierei, conoscendo il tipo meraviglioso e stravagante che è!). Tutto era ammassato caoticamente dentro. Un mucchio di vestiti accartocciati uno all’altro, senza via d’uscita. Follia! E io la ammiravo questa follia. Perché opposta a me, io non avrei mai potuto. Soffrivo quando andavo da lei a dormire, mi sentivo come sperduta in un vortice di disordine psico-fisico, allora ero fortemente kantiana!  Mi dava il permesso di sistemarglieli. Lei era contenta ed io pure.

Io, lo ammetto, sono un po’ una ossessiva. Mi piace vedere i vestiti ordinati per genere: gonne vicino alle gonne, pantaloni in ordine di gradazione cromatica, poi le camicie, le giacche, i vestiti e i cappotti.
Poi golf e magliette sempre con lo stesso criterio tassonomico.
Ordine.
Raccolgo sul letto matrimoniale montagne di appendini, alla tintoria i suoi, quelli di plastica archiviati in un altro saccone.

Dopo due ore di polveroso lavoro mi sono sentita bene.

Sono tornata maggiormente in possesso di me stessa. Ho rafforzato la mia immagine. Immagine interiore e immagine esteriore. Per due ore ho esercitato il pensiero organizzativo. Parallelamente, essendo per me stessa, nel mio interesse e non di qualcun’altro, ho potuto beneficiare di una gratificazione maggiore. Dall’altra ho lavorato di “proiezione” della mia immagine nel mondo (L’abito fa o non fa il monaco? Vorrei tanto fare un cafè philo su questo interrogativo!).
Basta adolescenza, basta aggressive, basta aziendalismi, basta catechesi.
Cura dell’anima, pratica-mente!

Ora, mi rimane solo una domanda: Chi sono?

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