Torniamo a giocare!

Quando faccio fare pratica filosofica, di fatto io tendo a voler “far giocare” con le parole.
Perché?

La storia cominicia da un po' lontano.
Quando all’università dovetti decidere su quale materia scrivere la tesi non ebbi dubbi: Filosofia del Linguaggio.
Scelsi questo indirizzo non tanto per la materia, quanto perché mi innamorai (come i discepoli si innamoravano di Socrate) della mia professoressa. Flavia Ravazzoli:  Una donna straordinaria, fuori dagli schemi. Con un’intelligenza effervescente. Cacciata dall’Università perché anarchicamente e per lotta diede 30 politici. Io ne ero attratta come da una calamita. Ne percepivo una potenza che se fossi stata in grado di arginare, nei lati di ordinaria follia, avrebbe potuto arricchirmi come nessun altro in Accademia. E così fu.

A Pavia, dove ho studiato, il percorso teoretico era molto sensibile all’onda linguistica. Wittgenstein, Heidegger, Foucault erano amati dai miei professori.

Ma quando fu il momento di scrivere la tesi non potevo immaginare quanta fatica avrei dovuto fare per entrare nel vivo del significato dell’espressione “filosofia del linguaggio”e comprendere lo spirito che animava il pensiero critico e teoretico della mia Maestra.
Oggi ne capisco non solo il senso, ma ne percepisco anche la portata politica e capisco perchè è stata cacciata. Non potevano darle la cicuta.

Ma se vado al ricordo di quell’ultimo anno?… era il 1998. Che fatica! Dovevo scrivere una tesi sulla figura retorica dell’Eufemismo. Mi dicevo:
"Che ci azzecca con la filosofia? E’ proprio all’opposto."
Ingenua che ero!

Io, giovane studente appassionata alla parola filosofica, alla ricerca della verità, come potevo scrivere una tesi sull’eufemismo. Sul mascheramento, sulla copertura della verità?

Poi uscii dalla caverna platonica e col sole capii molte cose.
Flavia mi insegnò a possedere il linguaggio e non a subirlo. Nessuno altro maestro di vita mi insegnò, né prima né dopo, questo fondamentale segreto di libertà: Se vuoi essere libero devi “semplicemente” possedere il linguaggio, devi conoscerlo e capire come funziona.
Non tutti i consulenti filosofici ritengono la scrittura indispensabile per tutte le pratiche. Invece personalmente penso che “il gioco dinamico” tra scrittura e voce sia una delle più importanti caratteristiche della pratica filosofica.

La parola orale, perché possa esprimere al massimo la sua forza democratica, e non divenga arma di potere seduttivo e manipolatorio deve avere a disposizione una traccia scritta su cui lavorare. Se non si vuole disputare, ma ragionare, tutti i partecipanti (da due a X) devono avere la possibilità di scrivere. Per ragionare e riflettere su ciò che “si dice” è necessario che questa sia ripescabile dal fluire dell’oralità e possa essere messa sotto osservazione.

Ecco perché è indispensabile durante le pratiche filosofiche che vi sia una lavagna, dei colori e possibilmente che anche i partecipanti abbiano fogli e penne con cui scrivere.
Praticare la filosofia allora è non solo investigazione esistenziale o interrogazione ed emersione del dubbio. Se si vuole fare filosofia praticamente, non si può esulare da un attento lavoro linguistico.
In un certo senso, durante le pratiche ( consulenza individuale, cafè philò, dialogo socratico, pratica sul dubbio, comunità di ricerca) uno degli obiettivi è scardinare il linguaggio, per rimontarlo, magari nella stessa posizione, ma con un’approfondimento analitico che mette in luce i non-detti, i malintesi, i fraintendimenti, le sovrastrutture culturali e valoriali, le ignoranze sinonimiche...
Forma (significanti) e contenuto (significati) vengono messi in discussione, vengono studiati attraverso la condivisione di esperienze verbalizzate e comprese dei partecipanti, tenendo conto che il valore di ciò che viene detto, non è basato solo sul lato etico-esistenziale, ma anche su quello semantico, sintattico, ermeneutico.

Se si condivide il presupposto che noi abitiamo il linguaggio, perchè non possiamo uscire da esso, che sia linguaggio verbale o non verbale, scritto, chattato, sms, parlato o televisivo, dobbiamo assumerci la responsabilità di come lo usiamo e avere il coraggio di criticare l’uso che ne viene fatto.

Pronti tutti a definire ed asserire qualcosa, ma cosa significa definire?

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