Quando definisco, cosa faccio?

Riferisce Aristotele che la definizione di un oggetto è un "discorso che esprime l’essenza individuale oggettiva". Le espressioni definitorie, quindi, individuano l’identità di un oggetto:
Essendo […] in grado di discutere sull’identità e la differenza degli oggetti, allo stesso modo acquisteremo altresì una maggior destrezza nel disputare rispetto alle espressioni definitorie: in realtà, quando mostreremo che l’oggetto non è identico alla definizione, avremo distrutto la definizione.(Aristotele, Topici, Confutazioni sofistiche, a cura di Gabriele Giannantoni, trad. di Giorgio Colli; Laterza, Bari 1994)
Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca (1966) considerano la definizione come una delle tecniche essenziali dell’argomentazione quasi–logica, cioè aristotelicamente parlando, del sillogismo dialettico proprio delle argomentazioni sia retoriche sia filosofiche.





 Le definizioni, secondo gli autori, sono prescrizioni o ipotesi empiriche concernenti la sinonimia del definiendum e del definiens, esse hanno carattere arbitrario e convenzionale e per questo sono suscettibili di modificazioni o aggiunte di simboli nuovi per la loro “descrizione essenziale”.
La definizione non è considerata né completamente arbitraria, né evidente, cioè quando dà o può dar luogo a una giustificazione argomentativa. (p. 221 Perelman, Chaim – Olbrechts-Tyteca, Lucie, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica; Einaudi, Torino 1966 .)


Quando vogliamo parlare di "definizione" è utile , secondo me, usare la categorizzazione di A. Naess riproposta da Perelman e Tyteca: essa può essere intesa “complessa”, nel senso che può essere acquisita secondo 3 diversi piani di riflessione:
  1. può essere  descrittiva, perché indica quale sia il senso attribuito alla parola in ambienti e tempi diversi;
  2.   è di condensazione quando indica gli elementi essenziali della definizione descrittiva (core definition del Dialogo Socratico);
  3. è anche normativa, quando esprime il modo in cui si vorrebbe che la parola venisse intesa e dunque utilizzata.
Lavorare filosoficamente sul linguaggio significa creare opportunità di incontro dialogico (per occupare il tempo libero o per "lavoro") per voler comprendere come e perchè si esprime una idea. Quando parlo di "libertà" o di "Stato", di "politica" o di "crescita" quali definizioni dò? "L'io penso" come si verbalizza?
Quando ci si confronta, si lavora sempre su tutti e tre i piani della definizione? Oggi giorno a me pare si stia molto sulla seconda procedura argomentativa, per la prima e per la terza ci affidiamo più comodamente a quelle "degli altri".
Darsi tempo per cercare e scoprire le identità delle parole e delle idee, che nascono e crescono intorno a noi, è fondamentale per cogliere il valore della responsabilità comunicativa e delle scelte dei termini messi in relazione d’identità (x è ...). 
D’altronde la definizione si può considerare fra le prime e più naturali tecniche discorsive per analizzare e istituire concetti.

La storia delle parole è uno specchio della cultura che di tali parole, attraverso incredibili viaggi interni, si nutre. Le parole di una lingua sono piccoli racconti di una storia delle idee molto composita che scavalca i pur densi confini della “cultura linguistica”.

Ogni diversa accezione semantica di un termine coinvolge, di fatto, visioni del mondo differenti.  D’altronde

L’essere umano […] è un accadere del linguaggio, e quando si dice “mondo”, il nostro mondo è l’insieme dei significati che noi attiviamo nel nostro scambio quotidiano di linguaggio. Con le parole configuriamo direzioni del mondo e contemporaneamente confermiamo l’abilità del nostro mondo (F. Papi La passione della realtà; Angelo Guerini e Associati, Milano 1998, p.21).
In Italia riappropiarsi delle parole è oggi fondamentale, e sposo a pieno titolo la tesi di Gianrico Carofiglio, di cui allego l'immagine del suo utlimo libro, da cui si ispira questo mio post,  è fondamentale per non farci manomettere la vita, ma penso ad un esigenza non geografica, ma culturale, nel nostro presente globalizzato e informatizzato. Si vive di COMUNICAZIONE. Siamo nell'ERA della comunicazione.
 E' un DOVERE MORALE che va oltre i dissensi politici e i conflitti ideologici. Siamo invasi da parole, ma le ingeriamo senza sapere che sapore hanno. Se vogliamo vedere un futuro, dobbiamo riappropiarci del passato linguistico, anche, delle nostre radici etimologiche e semantiche. Dobbiamo tenere aperti sul tavolo i volcabolari, oltre alla Costituzione e internet!!
"Legalità", "responsabilità", "nazione" cosa significano per noi?


Ci troviamo da Gennaio per discuterne assieme.
Per info  chiamatemi!

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