Riflessioni sulla bellezza

Ciao a tutti,
vorrei fermare il pensiero su ciò che mi ha colpito maggiormente durante lo stimolante tè filosofico di domenica scorsa al Cargo, per la presentazione del libro di Silvia Brena e Bruno Mandalari “Per una bellezza sostenibile” edito da Salani.
Perdonatemi se non mi soffermo in approfondimenti in merito alle osservazioni, ma è consapevole la scelta di lanciare solo dei punti luce, dei led (anche personali) che possano essere spunti per approfondimenti domenica prossima (26 c.m.) col pubblico che parteciperà alla seconda delle tre puntate dedicate a questo tema.
Quanta bellezza possiamo sostenere?
Questa domanda che voleva essere una proposta trasversale al titolo dell'opera presentata è stata offerta da Caterina, donna bella, intelligente e sensibile.


Caso che non è mai un caso, anche alla mia coscienza emerse questa interrogazione, quando anni fa dovetti subire uno spiacevole intervento alla bocca, che per una settimana abbondante mi impedì di mangiare normalmente.
Mi sono dovuta nutrire con yogurt e pappette in dosi minimali, tale era il fastidio fisico. Nel giro di una settimana avevo perso 7 kg!! Questo dimagrimento forzato mi faceva guardare allo specchio con sguardo ambivalente, strabico! Da una parte dicevo tra me e me "Che bella che sono! Finalmente ho delle belle gambe"; per la prima volta (ed ultima per la cronaca!) nella vita mi guardavo e mi vedevo “oggettivamente” bella (ho virgolettato perché aprirei un mondo di pensieri in merito) . Ma d’altra parte, mentre lo specchio cercava di risucchiare la mia attenzione a rimirare insistentemente la mia splendida forma … sentivo disagio. Quel corpo in realtà non mi apparteneva: gambe affusolate, viso magro, ventre (quasi) piatto. Non ero più io.
Mi rendevo conto di non essere in grado di sostenere tale immagine di me. Era troppo perfetto il mio corpo, per i miei abituali standard di memoria psico-corporea. In quell’occasione ho compreso che il mio equilibrio emotivo era più saldo in un corpo meno perfetto. L’elaborazione che ho fatto nel tempo, dopo questa esperienza, mi ha fatto capire e sentire che la mia anima vive meglio in un’atmosfera in cui la parte “ombrosa” viene evidenziata dal sole del crepuscolo, e non nascosta dal sole di mezzogiorno. Fuor di metafora ho capito che, per come ero abituata a sentirmi, la mia bellezza era troppa! Non ero in grado di gestire un corpo diverso dal solito, ma non nel suo peggioramento, ma, paradossalmente, nel suo netto miglioramento. Miglioramento che evidentemente era solo apparente e non sostanziale. Nella sostanza era un corpo che non mi apparteneva. Non mi riconoscevo, non mi sentivo “io”.
Ecco dunque che a me il “bel corpo” ha fatto un po’ male all’anima, perché l’eccesso di bella apparenza mi ha suscitato un disagio, tutto da investigare filosoficamente ancora oggi. Forse questa mia personale esperienza biografica potrebbe essere un “caso di verità esistenziale” su cui aprire una riflessione su “L’insostenibile bellezza del corpo”, parafrasando il celeberrimo titolo di un romanzo di Kundera, quale provocazione su cui aprire ulteriori riflessioni, che di primo acchito mi fanno associare la mia banale storia biografica a quelli ben più seri ed importanti che riguardano i disturbi alimentari di coloro che del corpo fanno, o vorrebbe farne, il loro strumento di lavoro.

Bellezza e potere
Ecco che sulla scia di questa riflessione sulla sostenibilità o meno della bellezza si allaccia un altro tema emerso durante il tè filosofico al Cargo: che rapporto c’è fra la bellezza ed il potere? Perché viviamo in una società in cui per far carriera ancor prima di un buon cervello o di una buona condotta, è rilevante un bel corpo? Questa domanda è stata proposta, oserei dire con precoce saggezza, da un giovane adolescente. Ma forse senza pesare sull’età anagrafica di chicchessia, è lo spirito critico che mostra tale realtà dei fatti, perché in fondo è sotto gli occhi di tutti, basta accendere la tv o sfogliare i giornali: con un bel corpo si arriva anche alle più alte cariche dello Stato.
Ecco dunque la mia tafanesca (o se preferite socratica) ingenua provocazione filosofica, che sorge senza vena polemica: oggi conta più un bel corpo di un’ anima retta e moralmente sensibile? E qui è inevitabile lo squarcio che si apre davanti a noi sull’annosa questione, fatta emergere anche da Francesco, sul binomio estetica-etica. Per rispondere a questa domanda si potrebbero trovare decine, centinaia di risposte da offrire al nostro pubblico la prossima volta, basti aprire una tra milioni di pagine di Filosofia o Diritto … ma, per come vivo la filosofia, mi piacerebbe che questo tema venisse “s-viscerato” dal nostro pubblico, se lo desidera, ovviamente; così che, ascoltando la viva voce del presente incarnato di uomini e donne, che sulla propria pelle sente di poter e voler esprimere il proprio pensiero, oggi nel qui ed ora di un presente bello e giusto, si possano trovare risposte per andare oltre. Perché, nel mio inguaribile ottimismo, credo che al meglio non ci sia mai fine!!
Come fonte di spunti di riflessione, su cui far lavorare i nostri compagni di ricerca filosofica nelle prossime domeniche, consiglierei un fantastico testo del filosofo francese Guy Debord che nel 1967 scrisse “La società dello spettacolo” , libro eccezionale e di un’attualità agghiacciante, libro-fratello di quello citato da Silvia Brena di J. Baudrillard “Seduzione” (1979) .
Un cordiale saluto e a domenica prossima!
Barbara BB

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