Té philo...abitando le parole...

Domenica scorsa abbiamo aperto il secondo ciclo di incontri i tè philo nella Sala da Tè Maison du Mekong, ospitando il Professor Silvano Petrosino. Docente di Filosofia del Linguaggio e Filosofia Morale rispettivamente alla Cattolica di Milano e di Piacenza.

Il tema che abbiamo aperto e che continueremo ad investigare per le prossime due domeniche (17 e 24 Ottobre) è L’ABITARE.
Gli orditi pretestuali, su cui potremo tessere la nostra tela filosofica, sono emersi dalla presentazione dell’ultima opera di Petrosino La scena umana, edito di JakaBook (2010).

L’incipit argomentativo penso sia quanto mai stimolante:
“L’uomo esiste in quanto abita”. Questa frase heideggeriana è ripresa dal Libro della Genesi 2:15.
Abitare, sempre seguendo la traccia argomentativa biblico-heideggeriana, significa "custodire" e "coltivare". Custodire l’altro che entra ospite nella casa. Coltivare la terra per raccoglierne i frutti, che metaforicamente divengono valori (morali) che crescono sull’albero della vita, grazie alla costante e faticosa ricerca interiore...

Viene contrapposta a questa immagine virtuosa dell’abitare, l’idea di un costruire senza limite, come nella Babele antica.
Ma ci chiede il professore: è poi così lontano il “mito di Babele” dal nostro spasmodico costruire senza il giusto rispetto per la dignità umana e per la dignità che dobbiamo all’unico luogo che tutti abitiamo, il nostro pianeta?

E ancora. LA CASA. La casa si abita. Essa in latino era domus, di cui i significati più frequentemente conosciuti sono:
1. spazio abitativo – edificio da costruire – e
2. luogo familiare di condivisione.
Luogo di intimità, dunque, dove amore e morte risiedono in equilibrio instabile.
La casa come specchio dell’anima ( cfr.La filosofia dell’arredamento di Mario Praz. 1964).
Dove, ci dice Petrosino, si può vivere fuori legge, perché in essa si può trasgredire l’ordine pubblico, ma che può divenire luogo di pericolo se lo si rende luogo amorale .
In soldoni: nessuno mi può impedire di andare nudo in giro per casa, tranne il rispetto per il volere di chi, con me, vive quel luogo.
La nostra casa mostra il nostro agire. Mostrami la tua casa e ti dirò chi sei!

Ma per me, forse, la riflessione più provocatoria che l’immagine della casa ci può dare oggi è quella che recupera l’etimologia greca, e non latina, del termine (La Grecia apre al pensiero filosofico, Roma ci apre al Diritto). Da oikòs deriva il nostro termine eco-nomia (oikos= casa + nomos= legge). L’economia, ci ricorda sempre il nostro professore, è concetto ben diverso da quello di business inglese. I due termini non sono in relazione verticale. L’economia non è quel termine che ingloba il concetto/realtà di “affare” . Con una battuta rubata ad un amico, il professore ci ha efficacemente fatto capire la sostanziale differenza tra il primo ed il secondo concetto " in un affare c’è sempre un furbo che ci guadagna è un cretino che ci perde!" . L’economia, invece, è quella scienza nata dalla necessità di far quadrare i “conti di casa”. Dove domus infatti significa anche "patria", "città natale";.
L’economia allora la descriverei, aggrappandomi “solo” alla coda di un’antica etimologia, come quell’ordine che fa bella la casa, è quella pulizia che profuma di attenzione e cura, è quell’atmosfera che accoglie l’altro, tanto da rendergli triste la partenza.

Il cerchio mi si dischiude in una spirale heideggeriana, che si contorce nelle mie viscere e riemerge in domande di senso.

Heidegger, giocando col linguaggio, intreccia tre verbi latini (habeo, habito, ab-eo) per individuare un percorso di senso filosofico affascinante e che ancora oggi potremmo usare come torcia investigativa sul nostro presente.
La ricerca etimologica tra questi tre significanti ci conduce al termine italiano “abitudine”, che deriva da habitus (participio passato di habeo =avere), che a sua volta fa germogliare il verbo habitare, nel significato di “continuare ad avere” , “avere consuetudine in un luogo”, in italiano quindi abitare.

A cosa siamo abituati oggi? E cosa siamo disposti a fare per migliorare la nostra Casa-Terra, per abitarla meglio?
Come modificare le nostre “cattive abitudini”? Visto il sempre più potente messaggio catastrofistico di un Globo al limite delle proprie risorse.
E, come luce negli occhi, vedo i nostri abituali, indispensabili, totemici TV e PC. Li abitiamo ( da habitare lat.= dimoro, sto ) come fossero l’iperuranio platonico? Oppure grazie a loro ab-itiamo verso altri lidi, ce ne stiamo andando verso un'altra dimora( ab-ire = andarsene, partire verso)? O ancora li abbiamo e basta come strumenti al nostro servizio?

E dopo questa peregrinazione linguistica per una interrogazione filosofica, lascio un ultimo significato del verbo habitare, il più bello per me: Heidegger ci insegna che significa anche “prendersi cura”, non certo in termini terapeutici, ma modali: è un modo in cui si può scegliere di relazionarci al mondo e che caratterizza l’essenza del nostro esistere. E’ uno stile.

Qual è lo stile della nostra casa?

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